IL COMMERCIO TRA COMPETENZA LEGISLATIVA REGIONALE, TUTELA DELLA CONCORRENZA ED INIZIATIVA ENOMICA PRIVATA

23.08.2023

Rubrica ad uso interno, curata dall'Unione Regionale della Campania, Via San Carlo, Angiporto Galleria 19 – 80132 Napoli Tel. 081/409270, Fax 081/415595, e-mail campania@aicast.it Responsabile il Presidente Felice CALIFANO

Da un commento del Dott. Gabriele Magrini a margine della Sentenza della Corte Costituzionale n. 18 del 7.2.2012, in materia di commercio, pubblicato su G.A.

Originariamente la disciplina del commercio, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, era principalmente regolata dalla legge 11.6.1971, n. 426 che prevedeva una sostanziale disciplina interventista di livello legislativo e sosteneva una funzione amministrativa di natura pianificatoria ed autorizzatoria, riservando al piano comunale del commercio non solo l'individuazione dei requisiti per l'accesso al mercato, mediante la fissazione dei luoghi e delle distanze tra i vari esercizi commerciali, ma anche la fissazione dei limiti dell'offerta in relazione alla capacità della domanda, introducendo in tal modo una vera e propria pianificazione strutturale del mercato della distribuzione commerciale, all'interno del quale esisteva soltanto una concorrenza fortemente contingentata. Con l'introduzione del D. Lgs. 31.3.1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio) l'intero settore del commercio subisce una revisione complessiva sia nella prospettiva di una maggiore liberalizzazione attraverso il riconoscimento del primato della libera concorrenza rispetto al preesistente modello di pianificazione pubblica , sia di valorizzazione del principio del decentramento funzionale attraverso il rinnovato ruolo delle regioni. <> In particolare, alle regioni vengono riconosciuti significativi compiti amministrativi di programmazione della rete distributiva e di definizione dei criteri di programmazione urbanistica in relazione al settore commerciale, ma anche rilevanti poteri normativi di natura integrativo-attuativa su determinati aspetti della distribuzione commerciale - corrispondenti ad altrettanti interessi pubblici –che determinano, di fatto, l'attribuzione alle regioni del delicatissimo compito di fissare il punto di equilibrio tra libertà di mercato e regolazione nonché la parallela linea di demarcazione tra misura interventista giustificata in nome degli interessi pubblici che sopravvivono in tale mercato e misura ingiustificata e contrastante con l'assetto post liberalizzazione. <> In tal modo viene, tuttavia, mitigata di molto la portata liberalizzatrice della riforma, creando piuttosto le condizioni per forme di pianificazione decentrata del settore commerciale. In seguito alla legge costituzionale 18.10.2001, n. 3 di riforma del titolo V° della Costituzione, la materia del commercio è stata dalla C. cost. pacificamente ricondotta alla competenza legislativa residuale delle regioni ex art. 117, co. 4, cost. <> e la precedente disciplina statale ha assunto natura di normativa residuale applicabile solo alle regioni che non abbiano provveduto ad emanare una disciplina propria in materia. <> In seguito alla nuova struttura costituzionale di riparto delle competenze statali e regionali, le regioni hanno gradualmente provveduto ad adottare specifiche legislazioni in materia di distribuzione commerciale (n.d.r. in Campania prima la L.R. n. 1/2014 e successivamente la L.R. n. 7/2020 oggi vigente), a volte anche derogando al precedente assetto normativo stabilito dal legislatore statale. <> Tuttavia, nonostante il riconoscimento della competenza residuale esclusiva regionale, la materia del commercio, in ragione delle sue numerose interferenze con altre materie, è stata sottoposta a molteplici sollecitazioni provenienti sia da una legislazione statale che ha continuato a disciplinare alcuni aspetti dell'attività commerciale, sia da una giurisprudenza costituzionale che, pur valorizzando la competenza delle regioni in materia, ha sottratto porzioni della stessa a favore del legislatore statale attraverso il riconoscimento del carattere trasversale di alcune materie di competenza statale esclusiva ex art. 117, co. 2, cost., caratterizzate dall'attitudine ad intervenire in settori anche eterogenei dell'ordinamento e a perseguire fini di ordine generale la cui realizzazione, per la loro natura, deve essere rimessa al legislatore statale. In particolare, la Corte ha riconosciuto il carattere della trasversalità, tra l'altro, anche alla materia tutela della concorrenza prevista dall'art.117, co. 2, lett. e), cost., con la conseguenza che in tale ambito la disciplina statale, operando come limite per il legislatore regionale, incide anche sulla materia del commercio che, pur essendo rimessa in via principale alla legislazione regionale, è altresì sottoposta al concorso della legge statale che voglia assicurare in questo campo la tutela della concorrenza. In particolare il tema dei limiti alla legislazione regionale in materia di commercio in rapporto alla tutela della concorrenza, è emerso in maniera significativa nella giurisprudenza della Corte con riferimento ad alcuni interventi statali in materia di liberalizzazione degli orari di vendita degli esercizi commerciali. <> Infatti, la Corte pur riconducendo la disciplina degli orari degli esercizi commerciali alla competenza residuale regionale evidenzia la necessità di valutare se la stessa, nel suo contenuto, determini o meno un vulnus alla tutela della concorrenza, tenendo presente che è stata riconosciuta la possibilità, per le regioni, nell'esercizio della potestà legislativa nei loro settori di competenza, di dettare norme che, indirettamente, producano effetti pro concorrenziali. <> Pertanto la Corte, facendo ricorso al tipico principio della derogabilità in melius ed inderogabilità in peius della normativa statale, stabilisce che i limiti introdotti da quest'ultima nelle materie c.d. trasversali vincolano le regioni, le quali nell'ambito delle proprie competenze possono adottare soltanto normative con valenza pro competitiva senza pertanto vanificare le disposizioni statali incentivanti la libera concorrenza. Infatti, secondo la Corte non sono esclusi profili di illegittimità costituzionale di norme che, se pure in astratto riconducibili alla materia del commercio di competenza legislativa delle regioni, producano, in concreto effetti che ostacolino la concorrenza, introducendo nuovi o ulteriori limiti o barriere all'accesso al mercato e alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale. <> 

Il commento alla sentenza n. 18/2012 della Corte Costituzionale. 

Ciò premesso, con la pronuncia in commento la Corte conferma l'orientamento interpretativo descritto e censura la norma regionale che, stabilendo un limite temporale alla cessione di attività commerciali su aree pubbliche per atto tra vivi, di fatto, introduce una barriera all'entrata di nuovi operatori sul mercato di riferimento priva di ragionevoli e giustificate ragioni economiche che determina un impedimento al libero esercizio dell'iniziativa economica privata, con conseguente violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza ex art. 117, co. 2, lett. e), cost. Tuttavia, come recentemente osservato, la pronuncia appare criticabile sotto il profilo del metodo usato dalla Corte che implicitamente sembrerebbe affermare - attraverso l'equiparazione del concetto di tutela della concorrenza con quello della concorrenza - che solo il legislatore statale possa introdurre norme a contenuto anticoncorrenziale, in tal modo confondendo la funzione con l'atto, nel senso che non tutti i provvedimenti legislativi statali (atto) che incidono sulla concorrenza sono comunque sempre legittimi costituzionalmente per il solo fatto che lo Stato sia titolare di legislazione esclusiva in materia di tutela della concorrenza (funzione). Pertanto, la norma regionale che introduceva una ingiustificata barriera all'ingresso nel mercato delle attività commerciali, in quanto lesiva del bene concorrenza costituzionalmente garantito, doveva più propriamente essere censurata, anziché con il ricorso al riparto delle competenze legislative, per contrasto con l'art. 41 cost., tanto più che lo stesso costituiva autonomo motivo di impugnazione del Governo. Ciò premesso, la pronuncia è significativa perché interviene nuovamente sui rapporti tra disciplina del commercio e concorrenza, confermando al riguardo la maggiore attenzione della Corte al tema del riparto delle competenze legislative dello Stato e delle regioni, piuttosto che alla tutela del principio costituzionale della concorrenza. In particolare con riguardo al primo aspetto va segnalata nella giurisprudenza della Corte la tendenza alla graduale erosione delle competenze legislative residuali delle regioni, a favore di un ampliamento – con il ricorso alla teoria delle materie c.d. trasversali – delle competenze statali. Tuttavia, in seguito ai recenti interventi normativi in tema di liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali introdotti del legislatore statale, il rapporto tra Stato e regioni in tema di commercio è destinato ha subire ulteriori evoluzioni nella giurisprudenza costituzionale. <


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